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L'HUMANA CARMINIA ET CICLATA HISTORIA
ovvero la cronaca dell'evolusione dell'uomo attraverso il nettare divino e la bicicletta

by "Gelati"

LA GENESI
Era la notte dei tempi, era la prima volta di ogni cosa.
Niente era ancora stato creato, non c'era proprio nulla, te lo immagini che due maroni?
Poi un piccolo puntino, solo nell'agghiacciante vuoto siderale, incominciò ad espandersi sempre più, sempre più fino a che non poté più contenere se stesso.
E fece l'unica cosa possibile.
Esplose.
Un'esplosione di dimensioni talmente titaniche da sfuggire ad ogni umana comprensione.
Le frattaglie di quel puntino correvano in tutte le diresioni sospinte da forse sconosciute: leggi fisiche, bolle frattali, agglomerati chimici e buchi neri nascevano e morivano nel giro di frasioni di nanosecondi, ma poi col tempo tante palline colorate incominciarono a girare pian piano sempre più ordinate e progressivamente ci fu un gran giramento di palle.
Era nato l'universo.
E allora ci fu subito la discussione su di chi fosse il merito: Dio e Allah litigavano in continuasione, c'era quell'Odino perennemente incassato che tracannava botti di idromele a bancone, poi c'era quel tipo che non si ricordava mai se si chiamava Giove o Zeus, Ra era sempre in spiaggia a prendere il sole e guardare le Dee in topless, e poi un sacco di altri con nomi quasi impronunciabili che sbraitavano di essere meglio degli altri.
Fu un litigio che durò anni, secoli, addirittura millenni; il fattore tempo non aveva nessuna importansa.
Alla fine uno di loro la spuntò, a noi non è dato da sapere chi fu il prescelto, ma questa è un'altra storia.
Mentre questi loschi figuri si scornavano tra loro, una pallina assurra nella periferia del Braccio di Orione della Via Lattea incominciò ad avere un sacco di attività: vulcani, tempeste, lava, terre che emergevano ed altre che affondavano, ma via via tutto si fece più tranquillo.
In questa tranquillità due atomi di idrogeno e uno di ossigeno decisero di mettersi insieme per formare un gruppo pànc e fare un po' di casino. Ma nessuno sapeva cosa fosse il rock, e allora l'ossigeno (voce e chitarra) che era il capo perché aveva un elettrone in più, disse: “Mentre aspettiamo che qualcuno inventi la musica facciamo l'acqua! Beh dai, non sarà il massimo ma è meglio che niente”. Gli idrogeni (basso e batteria) accettarono entusiasti, e lo furono talmente tanto che ricoprirono d'acqua il pianeta.

LA COMPARSA DELLA VITA
Ma è mai possibile che nessuno si sia mai interrogato sul perché la famosa salamandra abbia avuto la necessità di rifiutare l'acqua, guadagnare la terra ferma e trasformarsi in tutte le forme di vita che oggi conosciamo? Cosa stava cercando quell'esserino sulle inospitali terre emerse? E perché da quel momento sarebbe ritornata all'acqua soltanto per lavarsi o per fare qualche vasca in piscina? Mettiamo per il momento da parte la risposta e andiamo avanti.
L'atomo di ossigeno di cui sopra dopo un po' di tempo intraprese una carriera solista e formò un altro gruppo con un atomo di azoto alle tastiere, uno di carbonio alla batteria ed un altro idrogeno al basso, e da lì andarono per tentativi: fecero gli aminoacidi, le proteine e il DNA, ma eravamo ancora molto lontani dal rock.
La vita nacque nell'acqua, questo ormai è stato accettato all'unanimità da tutti gli sciensiati del mondo; in un primo tempo il mare pullulò di piccoli esseri, trilobiti, limacce, ciglia vibratili, piccoli crostacei e meduse colossali. Poi si fecero strada animaletti più complessi e più specialissati, nacquero i primi pesci corassati e da quel momento il mare non fu più lo stesso.
Immaginatevi la scena che si deve essere presentata alla salamandra: una vegetasione alta come Maicol Giordan, niente da mangiare se non qualche lichene, un continuo crepitio elettrico proveniente da nubi basse minacciose e piccoli vulcani ovunque. A questo si aggiunga che non c'era anima viva e nessun bar a perdita d'occhio.
La sua testolina pensò: “Una vera ciofeca, ma che bella idea di merda che ho avuto. Era meglio se rimanevo a casa mia a grattarmi i maroni, ansi, adesso ci ritorno”.
E fu così che sul momento di ributtarsi in acqua si vide specchiata sulla riva del mare e pensò: “'Sti cassi che brutta che sono... del trucco, mi ci vuole del trucco! Ah già non è ancora stato inventato.. E allora cosa faccio? Te lo dico io cosa faccio, adesso mi rimbocco le maniche e mi evolvo”.
E ci si mise proprio d'impegno perché da allora comparvero i primi prototipi d'animali: serpenti con le orecchie a sventola, scarafaggi antinebbia cingolati, lucertole autoadesive con la proboscide, sansare col naso aquilino ma sensa ali, ed altri orrori con serissimi problemi di deambulasione.
Ci mise allora una mano Madre Natura che volendo fare il fenomeno come al solito esagerò creando i dinosauri e ci mise una pessa, ma tuttavia non fece i lavori bene fino in fondo perché tralasciò per strada qualche lavoro fatto a metà.
“Heiii testa di casso, ti sei dimenticata di me! Non voglio essere preso per il culo per l'eternità” - urlò infatti disperato e incassatissimo l'Ornitorinco. Ma tutti fecero finta di niente e la storia continuò.
I dinosauri prosperavano ed erano particolarmente fieri delle loro dimensioni colossali, tanto che presero a darsi nomi schersosi tra loro come Triceratopo, Tirannosaurus Rex, Velociraptor e Stegosauro.
Poi un bel giorno arrivò una femmina di una rassa sconosciuta che aveva diverse protuberanse rosa in messo alla pancia, una cosa mai vista prima d'allora. Essa andò dalle dinosaure e con fare da saputella disse: “Le vedete queste? Sono le tette, e con loro ci potete fare un sacco di cose. Mi dispiace tanto care ciccine, voi non le avete perché non siete mammifere come me. Beh, adesso vi saluto, devo andare a caccia di maschi perché a loro le tette piacciono tantissimo, ciaooo”.
Un urlo di angoscia e disperasione si levò dalle dinosaure di tutte le terre emerse perché anche loro volevano le tette, ma Madre Natura scosse la testa dicendo che non era possibile farle avere anche a loro. Allora le dinosaure per protesta presero a pestare i piedi tutte insieme, e fecero un casino tale che piegarono l'asse di rotasione terrestre, così che il pianeta entrò in rotta di collisione con un'asteroide (che si chiamava Gaetano) e si estinsero tutti quanti.
I mammiferi si salvarono miracolosamente e divennero la specie dominante dividendosi in una miriade di nuovi esseri viventi, tra i quali appunto la scimmia.

L'UOMO
La nostra storia incomincia un po' dopo della notte dei tempi, ma è risaputo che il vino è stato scoperto prima della ruota. Certo, altrimenti come potrebbe essere che un uomo primitivo si mettesse a scolpire un pesso di pietra perfettamente circolare se non in preda ai fumi dell'alcool? Parliamoci chiaro, c'erano cose molto più importanti da fare come ad esempio cercarsi da mangiare, oppure difendersi dagli animali feroci che in quei tempi erano incassati come delle bestie.
E' in questo periodo che l'uomo diventa onnivoro; i carnivori avevano denti e artigli per attaccare gli altri animali e lacerare la carne, gli erbivori erano veloci come saette per sfuggire ai predatori, ed in più avevano una dentatura per triturare anche il legno, ma l'uomo cosa aveva? Niente, e proprio per questo bisognava avere poche chiavate e mangiare quello che si trovava, si trattasse di carcasse di animali oppure di frutti e ortaggi trovati in giro.
Un bel giorno qualcuno inventò la prima arma (vedi 2001 Odissea nello Spasio) e se in un primo tempo l'uomo diventò cacciatore, ben presto incominciò a costruirsi utensili per i più svariati utilissi, tra questi anche quelli per lavorare la terra e produrre cibo.
Non esistono testimonianse scritte o pitture rupestri sul momento della scoperta del vino, ma è molto probabile che fu assolutamente casuale: qualcuno dimenticò del succo d'uva da qualche parte, se ne ricordò in un secondo momento, andò per berlo e prese una sbronsa colossale, la prima della storia.
Dal momento in cui l'uomo scopre il vino però succede una cosa inspiegabile: quasi per magia nasce una simbiosi che nemmeno ideologie forti come la politica e le religioni riescono più a spessare, e da lì in poi la storia si tinge di rosso. Con un urlo primordiale che attraversa i millenni l'Australopiteco assume la posisione eretta e diventa Homo Sapiens, ma sensa mai mollare la bottiglia stretta nella mano destra, e quando questa era vuota poteva essere usata come clava.
Tra le tribù dei primi uomini nasce la figura dello stregone, che poi era la persona in grado di prendere le sbronse più grosse e raccontava agli altri di entrare in contatto con gli dei. Il vino perciò entra a far parte dei riti collettivi, ai quali tutta la tribù partecipava con grandissimo entusiasmo ballando tutta notte con un sacco d'alcool in corpo.
Fin dall'antichità soltanto uno sprovveduto si sognava di mettersi in viaggio sensa vino: Ootsi, l'uomo del ghiaccio trovato nelle montagne sopra a Bolsano, molto probabilmente era un fighetto perché se si fosse portato una borraccia di Lambrusco non sarebbe morto assiderato.
Noi Italiani deteniamo, per il momento, il primato per essere stati i primi coltivatori di vite: nella provincia di Aresso sono stati ritrovati reperti fossili di tralci di vite risalenti a ben due milioni di anni fa, in pieno Neolitico.

LA GRECIA
Il bacino del Mediterraneo fu la culla della civiltà del bere perché la vite prosperava ovunque per il clima particolarmente favorevole. Il Nord Europa invece sguassava ancora nelle barbarie, e da quelle lande desolate proveniva un coro di rutti ininterrotto dovuto alla birra.
I primi a produrre vino in modo intensivo con grande profitto furono i Greci, e questo agevolò non poco i commerci con i paesi limitrofi. Tra le civiltà mediterranee la notisia si sparse a velocità supersonica; gli Ellenici vendevano diverse qualità di vino bianco e rosso, in pratiche anfore da un litro, sfuso e alla spina, e addirittura potevi scegliere se lo volevi fermo o frissante. Si fa presto a capire come le casse e i forsieri delle Città Stato traboccassero d'oro.
La famosa battaglia delle Termopili si svolse perché Serse voleva impadronirsi delle vigne greche, ma Leonida appena lo venne a sapere disse fiero ai suoi sudditi: “Noi a Sparta non siamo dei fighetti e possiamo fare a meno di tutto ma non del vino, in guerra Spartani!”.
La fine della storia è ben nota a tutti, ma quello che riporta Erodoto nelle sue Storie è quanto meno significativo. Una volta che le due fasioni giunsero faccia a faccia, Leonida chiese a Serse che tipo di persone avesse portato alla battaglia. Non ottenendo nessuna risposta interrogò i soldati Siriani chiedendo: “Tu che lavoro fai?” - ed ottenne risposte del tipo: “Il muratore” - oppure - “Il contadino” - oppure - “Il sarto”. Con aria di superiorità disse a Serse: “Beh, io invece ho portato 300 animali da bancone ubriachi alquanto molesti, pensa che tra loro ci sono anche parecchi Ultras dell'Atletico Sparta”, e fece una carneficina di Siriani prima di soccombere anch'esso.
Successe poi che un ragasso particolarmente aitante volle andare ad Atene a piedi per portare la notisia dei 300 Spartani, partendo dalla sua città che si chiamava Maratona. Incurante delle raccomandasioni della madre che gli consigliava di prendere il mulo, egli si impuntò per andare di corsa, fermandosi ad ogni osteria per un bicchierino. Arrivò dopo aver percorso 42 chilometri e un po' (oppure 43 meno qualcosa, nessuno lo ha mai saputo con precisione), ubriaco come una quaglia, ma purtroppo sopraggiunse inevitabilmente il coma etilico che lo stroncò.
Addirittura Ulisse, “l'uom di mirabil ingegno” come lo definisce Omero, si servì del vino per le sue avventure: sappiamo bene tutti quanti che fece prendere una sbronsa ciclopica a Polifemo che fino ad allora aveva bevuto soltanto del latte di capra, ma l'eroe greco se ne servì soprattutto per la navigasione. E' infatti poco noto che Ulisse soffrisse di mal di mare, ma egli non mancava mai di presentarsi all'imbarco ubriaco fradicio pensando: “Se mi deve girare la testa per le onde, molto meglio che mi giri per l'alcool”.
Tuttavia la sua leggendaria intelligensa non si fermava qui: dal momento che sapeva che due forse uguali si annullano, durante il normale rollio e beccheggio della nave nella navigasione, con tanto vino in corpo egli aveva la sensasione di trovarsi sulla terra ferma. Se il mare si ingrossava bastava tracannare qualche bicchiere in più: semplicemente geniale.
C'è da dire che anche gli Dei sull'Olimpo non è che bevessero poi tanta acqua, tant'è vero che Ebe, la coppiera degli Dei, non a caso è sempre rappresentata seduta; doveva arrivare a sera sfinita poveretta a forsa di riempire dei bicchieri.
Aggiungiamo a questo che Ulisse non aveva certo il Tomtom-go e sbagliava continuamente strada incontrando mostri uno più orrendo e incassato dell'altro, complici anche gli Dei avvinassati che si divertivano a prenderlo per il culo e ad osservarlo a dannarsi per arrivare a casa per l'ora di cena.
I Greci tuttavia si espansero in tutto il Mediterraneo in modo più o meno pacifico, ma un'altra grande civiltà si stava facendo conoscere a poche centinaia di chilometri da loro: Roma.

ROMA
Aiutato dai commerci via mare il nettare rosso non mancò di approdare sulle coste italiane dove stava nascendo l'Impero Romano. Gli antichi abitanti della nostra penisola avevano già incominciato da tempo a dare i loro leggendari banchetti, che accompagnavano con un vino particolarmente legnoso che avevano lasciato in eredità gli Etruschi. Visto che questa bevanda risultava essere particolarmente alcolica e sciropposa, essi erano costretti ad allungarla con acqua e ad aggiungere miele e spesie per renderla bevibile.
Poi non appena i primi mercanti Greci arrivarono a Roma ci fu qualcuno particolarmente ingegnoso che provò a mischiare i due tipi di nettare rosso inventando il primo vino tagliato. Il popolo fu folgorato dalla sensasionale scoperta... finalmente il primo vino davvero buono! Dalla capitale si levò un coro di migliaia di voci entusiaste (Aooooò!!) che durò centinaia e centinaia d'anni, e addirittura anche oggi passeggiando per la nostra capitale non è raro sentirlo.
L'Impero diede un grandissimo impulso alla produsione, tant'è vero che il vino passò dall'essere un prodotto elitario a divenire una bevanda dall'uso quotidiano e nasional-popolare. In questo periodo la coltura della vite si diffuse in modo a dir poco intensivo e, naturalmente, con l'aumento della produsione aumentarono anche i consumi.
Il primo prototipo del Frascati si diffuse un po' ovunque, e potevi trovare taverne e vinai dappertutto, in special modo nei centri nevralgici della città e nel Colosseo dove ne venivano consumate quantità industriali durante i giochi. Addirittura veniva usato in guerra dai centurioni per sottomettere le tribù locali, in special modo quelle dell'Europa del Nord che erano abituate a bere soltanto birra.
Nasce il culto di Dioniso, il dio protettore dei banchetti, del vino e del sesso. Erano in tantissimi a voler partecipare ai riti, dove si mangiava e soprattutto si beveva come delle bestie. A fine pasto una bella orgia per digerire, poi caffè e amaro e tutti a casa.
I primi Re erano parecchio allarmati dalla trasformasione che stava subendo la popolasione; infatti le prime testimonianse di leggi che vietano l'abuso di alcool risalgono proprio a quei tempi. Ma furono leggi che ebbero la longevità di decreti, poiché ben presto ci si accorse di come la situasione fosse scappata ad ogni controllo.
Che strana la storia dell'uomo, a volte inverte completamente la marcia per ritornare sui propri passi: addirittura il primo della stirpe dei Cesari andò controcorrente vietando l'uso dell'acqua, se non per le normali ablusioni quotidiane. La celeberrima frase di Giulio Cesare “Quoque tu Brutus figli mii” fu rivolta a Bruto probabilmente sorpreso a pasteggiare con acqua di fonte, e tanto fu la sua vergogna che pugnalò l'Imperatore.
Durante il dominio romano Cesare chiamò al suo cospetto un generale, colui che in seguito venne chiamato Alessandro il Grande e gli disse: “Mio caro, qui a Roma beviamo troppo ed abbiamo quasi finito le scorte delle cantine. Il tuo compito è spingersi ad Est per vedere se quei bifolchi che vivono da quelle parti coltivano la vite”. Allora Alessandro si spinse fino in Cina e rese enormi servigi all'Impero, ma un bel giorno tornò dall'Imperatore e a capo chino scosse la testa dicendo sconsolato: “Niente da fare casso madonna, ho trovato solo gente astemia”.
Ma in quel periodo nuove religioni si stavano facendo avanti e Roma stava pullulando sempre più di persone che credevano in Gesù Cristo, un uomo che si diceva avesse la facoltà di trangugiare immense quantità di vino durante la Messa. Ci pensò Dioclesiano a mettere a posto tutto; andò di bettola in bettola raccattando i peggior figli di troia di Roma, ed organissò delle ronde che avrebbero fatto patir vergogna alla Lega: smarrì dalla capitale tutti quelli che che credevano in Dio, e non contento sterminò chiunque si trovasse sul suo cammino. Rimase celebre la sua frase: “Andè mo a cà vostra adèsa (andate a casa vostra adesso)”.
Nei secoli di dominio romano ci furono tanti Re ed Imperatori che si succedettero sul trono, ma la palma del migliore ubriacone va sens'ombra di dubbio ad Eliogàbalo, regnante di origini siriane che crebbe con la ferma convinsione che ogni istinto umano non doveva essere sopito, ansi, era necessario assecondarlo e fare tutto ciò che veniva in mente. Se in un primo tempo egli si presentò a Roma con un enorme casso di granito trainato da buoi e deflorando pubblicamente tutte le Vergini Vestali di guardia ai templi, in un secondo tempo la corte romana fu trasformata in un paradiso della perdisione dove il vino e gli alcolici scorrevano a fiumi, e il sesso era all'ordine del giorno. Non durò molto perché all'età di diciannove anni alcuni cospiratori gli tagliarono la gola e poi lo buttarono in pasto ai topi della Cloaca Massima.
In tutto l'Impero però, complice la fama di Eliogàbalo, si stava spargendo la voce che a Roma si beveva e si mangiava come dei porcelli, le donne erano di facili costumi e tutto costava pochissimo. Ben presto diverse tribù provenienti dal Nord Europa, costituite per lo più da trogloditi che avevano visto l'ultimo paio di tette quando erano stati svessati dal seno materno, si riunirono e decisero di fare delle scorribande in Italia in cerca di fortuna.
Non è da sottovalutare il fatto che nelle loro terre le donne avevano i baffi ed avevano un fisico tipo campana del vetro, per cui non è difficile capire come, al solo pensiero di conquistare con le buone o le cattive delle femmine che si potessero chiamare tali, si trasformarono in poco tempo in veri invasati e maniaci sessuali.
Furono chiamati Barbari, ed effettivamente di umano avevano molto poco. In un tempo relativamente breve sgretolarono e fecero cadere l'Impero, che fece un casino che durò per anni e anni.

IL MEDIO EVO
Il Medio Evo fu poi il periodo d'oro dell'alcolismo. Trovavi osterie ovunque, il più delle volte sotto casa. All'interno un oste a torso nudo che spillava vino da una botte dietro al bancone, e in corredo del locale un manipolo di personaggini davvero poco raccomandabili con fiati che avrebbero steso un bisonte selvatico. Il vino veniva servito in bicchieri pesantissimi alti come Don Lurio, e spesso occorreva essere dei culturisti per riuscire ad alsarli. Essendo uno dei pochissimi divertimenti disponibili all'epoca, le bettole erano sempre stracolme di gente di ogni ceto sociale, e a volte era necessario mettersi in lista per non farsi negare l'ingresso dai buttafuori. Quasi sempre infatti all'entrata delle osterie si trovava un cartello quanto mai esplicito che diceva: no fighetti, no bella gente, si gente valida.
E pensare che non c'era nemmeno il problema di incorrere nella Santa Inquisisione perché il clero era più avvinassato di una Cantina Sociale; fu proprio in questo periodo che i Cardinali assunsero la tipica toga color mosto d'uva.
L'unico a non essere d'accordo con tutto ciò era un biondino esaltato di Ferrara, un certo Girolamo Savonarola, soprannominato il Martello di Dio perché era un proibisionista peggio della Iervolino. Nessun problema, appena la Chiesa se ne accorse fece cosa buona e giusta: lo arrestò con la complicità dei Medici di Firense, fece fare una bella pila di tronchi di quercia, lo mise al rogo, e da allora per diversi secoli nessuno più si sognò di rompere i maroni a qualcuno che alsava il gomito, giusto fino ai giorni nostri con la nascita dell'etilotest.
C'è però da dire che la Chiesa si è sempre preoccupata di non farsi mancare il vino, addirittura inserendolo nei propri rituali; non dimentichiamoci che nell'Eucarestia il reverendo se ne tracanna un bicchieraccio alla goccia, sensa peraltro offrirne agli astanti.
Gesù, che era tutt'altro che uno sprovveduto in quanto figlio del nostro Signore, questa cosa la sapeva molto bene e l'aveva già capita da un bel pesso; è perfettamente inutile specificare cosa contenesse il Santo Graal, e non dimentichiamo poi il miracolo delle nosse di Caana, dove il Cristo allarmato dal fatto che fossero finiti gli abbeveraggi corre subito ai ripari compiendo il prodigio della trasformasione dell'acqua in vino.
Intorno alla seconda metà del 1200, a causa delle grandi quantità di vino che venivano consumate, ben presto le scorte del Vaticano presero a scarseggiare, e allora il Papa organissò le Crociate contro gli infedeli delle terre arabe: la storia della guerra agli infedeli era naturalmente una scusa, perché egli sperava che da quelle parti si fosse incominciato a coltivare la vite e voleva impossessarsene. Grandi eserciti provenienti da tutta l'Europa fedele alla Chiesa partirono per quelle terre, ed in testa a tutti un corpo d'elìt destinato ad entrare nella leggenda: i Cavalieri Templari. Il Papa era particolarmente orgoglioso di loro, e proprio per questo gli diede il permesso di agire in suo nome e per conto, fiducioso della loro cieca fedeltà al Santo Padre.
Essi erano dei segugi da alcol eccesionali ma una volta che l'ebbero trovato non si diedero certo la briga di informare il Vaticano, e rimasero per anni ad ubriacarsi allegramente sulle rive del Mar Nero. Appena il Papa lo venne a sapere partì una bella scomunica, che al tempo significava morte certa, ma troppo tardi: il nettare rosso era finito, oppure qualcuno l'aveva nascosto in un posto remoto ed inaccessibile. Ancora oggi ci stiamo dannando a cercare il loro tesoro, anche se non sappiamo esattamente cosa stiamo cercando.
Successe poi che una grande carestia colpì l'Italia a causa della peste nera del 300. Il Papa non se lo fece ripetere due volte: fece armi e bagagli e si trasferì per un po' ad Avignone, dove per diversi anni sorseggiò Sciampàgn pieno di bollicine, e per passarsi il tempo tra un bicchiere e l'altro scomunicò la pacifica setta dei Càtari accusandoli di eresia, facendoli rincorrere e sterminare in Italia, Francia e Spagna.
In Puglia, grandissima produttrice di vino fin dalla remota antichità, un bel giorno arrivarono gli Ottomani decisi a mettere a ferro e fuoco l'intera penisola. Non avevano fatto i conti però con un viticoltore della sona, un certo Ettore Fieramosca, già famoso nella sua terra per essere un attaccabrighe rissosissimo che gli bastava un niente per menar le sue mani grandi come delle fiorentine con l'osso. Per timore che i Turchi volessero annacquare il suo Negramaro, si incassò talmente tanto che li prese a calci in culo tutti quanti nella famosa Disfida di Barletta, li rincorse verso sud in quasi tutta la regione, e poi li ricacciò in mare con la collaborasione della gente di Otranto. Fu proprio in questa cittadina che nacque il detto schersoso “Mamma li turchi!”.
La Puglia scrisse così il suo nome a caratteri d'oro nella storia d'Italia: non a caso dopo svariati anni il grande Federico II trasferì il suo quartier generale in Salento, dove nelle cantine del suo castello si diceva si conservassero vini provenienti da tutto il mondo.
Finalmente anche l'Europa settentrionale conobbe il vino e da allora non lo mollò mai più: nelle corti germaniche ma soprattutto negli stati scandinavi se ne consumavano quantità enormi; Scècspir molti anni dopo lo inserì in diverse sue commedie, in particolare nell'Amleto e nel Macbeth dove si beve praticamente dall'inisio alla fine.
C'è anche da dire che i Saraceni predicavano bene e rassolavano male: nella loro terra guai a bere alcol a causa della loro religione, ma dalle terre calabresi sotto il loro dominio essi preferivano esigere i tributi in vino ansiché in denaro, tanto erano affascinati e rapiti dalla bontà del Librandi e del Cirò.
Ci fu infine un genovese, un certo Cristoforo Colombo, che era convinto che oltre le Colonne d'Ercole, l'attuale Stretto di Gibilterra, ci fosse un altro mondo. E non solo: era profondamente convinto che la Terra fosse rotonda e, dal momento che tutti credevano fosse piatta, veniva pesantemente preso per il culo da chiunque tutte le volte che usciva di casa.
Stanco e provato da questa scomoda situasione decise di cercare fortuna all'estero, e finalmente trovò la regina di Spagna disposta ad ascoltarlo, e soprattutto a finansiarlo. Lei in effetti aveva ben poco da perdere: gli regalò tre caravelle buone solo per fare una gita di ansiani a Comacchio, ma ottenne i diritti di sfruttamento su tutte le terre che avrebbe scoperto.
Non si sa ancora bene come, ma nel 1492 l'Italiano scoprì l'America (lui però era convinto che fosse l'India) e da allora in tutta Europa un coro di voci si alsò e all'unisono disse: “Stooop! Fine del Medio Evo, adesso si gira pagina e incomincia il Rinascimento”. A chi chiedeva stupito cosa fosse il Rinascimento gli veniva risposto: “Non lo sappiamo neanche noi, ma tu nel frattempo fatti i cassi tuoi”.

IL RINASCIMENTO
Eccoci così al Rinascimento dove la situasione vinosa non cambiò poi più di tanto, anche se la morsa della Chiesa si allentò di parecchio. Nel 1520 calarono dalla Germania i terribili Lansichenecchi, capitanati dal generale Otto Von Prunzberg: questo fiero ufficiale teutonico ce l'aveva a morte con il Papa, nessuno ha mai capito perchè. E' certo però che fosse davvero determinato a conseguire il suo scopo; sotto alla sella del suo cavallo custodiva una corda d'oro per impiccarlo una volta arrivato a Roma. Egli inoltre era un eccellente diplomatico, tant'è vero che convinse i signori di Mantova, i Gonsaga, a farlo passare. Il Santo Padre ebbe un culo della madonna, forse aiutato dal nostro Signore: Prunzberg morì di vecchiaia arrivato al confine tra l'Umbria e il Lasio, e così il pericolo fu scacciato.
Tutti sappiamo le novità intellettuali che sconvolsero il pensiero dell'uomo di allora; dal buio Medio Evo si ritrovò catapultato in una nuova era con un sacco di terre nuove tutte da esplorare e conquistare, l'ottimismo era finalmente ritornato e le diverse forme di arte presero un'impennata di evolusione mai vista prima nella storia, complici soprattutto i regnanti che nella loro corte amavano circondarsi di artisti di ogni tipo. I commerci tra i paesi europei si fecero a dir poco fiorenti, e al mercato potevi trovare merci provenienti da tutto il mondo conosciuto.
L'alcool era finalmente libero di circolare ovunque, e tagliando le diverse tipologie di vino se ne ottennero una grande quantità di nuovi tipi: il Chianti è un esempio per tutti, ed in breve tempo diventò popolare in tutti gli staterelli italiani coinvolgendo prepotentemente la nobiltà. I quadri di quell'epoca sono molto emblematici: nonostante la postura regale tutti i nobili hanno le gote biancorosse e gli occhi stralunati, proprio come se fossero appena arrivati dall'osteria.
Nascono a Venesia i primi Baccari, bar da passeggio dove vengono servite le famose “ombre”, che sono poi bicchierini di vino da mandare giù in una sorsata. Questi locali sono resistiti fino ad oggi, ma hanno la spiccata capacità di mimetissarsi tra gli edifici, per cui se li volete trovare dovete farvi accompagnare da uno del posto.
Il venesiano Marco Polo ci riprovò e partì di nuovo per gli stati asiatici con suo padre e suo sio, nella speransa che quei popoli avessero smesso di essere astemi da quando Alessandro il Grande fece loro visita; conobbe grandi fortune ma non ne ebbe nessuna in questo campo, allora si fermò per svariati anni in Cina a bere il sakè in compagnia dell'Imperatore che lo elesse addirittura suo gran consigliere e ambasciatore.
Fu in questo periodo di grandi rinnovamenti che un avvinassato fiorentino di provincia chiamato Leonardo, tra le miriadi di invensioni elencate nel suo codice Atlantico, mise a punto quello che potremmo chiamare il primo prototipo di bicicletta. Il suo disegno però racchiudeva un'idea del messo privo di sterso (che bell'ubriacone che eri anche tu Leonardo), e la nascita della bicicletta vera e propria dovette aspettare altri tre secoli.
Arrivò poi il periodo Barocco dove nessuno ci capiva più niente, gli uomini si vestivano da donne e le donne da uomini, ed attaccare gancio con qualcuno o qualcuna poteva riservare bruttissime sorprese. Gli stili architettonici erano un'accossaglia di cose una sull'altra, la musica diventò fighetta all'esasperasione, e in special modo si fece avanti la convinsione che l'acqua facesse male. La gente incominciò a bere soltanto alcolici ma soprattutto smise di lavarsi, e di conseguensa avvenne una selesione naturale tra le persone che passavano di malattia di malattia a causa della scarsissima igiene personale. Quando si andava dal medico non era raro infatti sentirsi fare discorsi del tipo: “Ah ma guarda un po', hai preso la tisi e il vaiolo.. Ti è andata grassa amico, pensa se ti fossi lavato tutti i giorni cosa ti sarebbe successo”.
E fu così che per tutto questo periodo valse come non mai il detto “chi g'ha boun a tira” (trad. chi ha del buono tira; leggasi chi è forte sopravvive), che dopo diversi secoli fu rielaborato da Ciàrls Dàrvin per dimostrare la sua tesi sulla selesione naturale.

LA RIVOLUSIONE FRANCESE
Passiamo di botto alla Rivolusione Francese. È noto di come il popolo soffrisse per la mancansa di generi di sussistensa, confiscati in quantità sempre maggiori dalla nobiltà che viveva appartata e conduceva una vita a sé stante. Mancavano sempre più gli animali domestici perché anche loro stavano progressivamente diventando di proprietà del Re: ai più fortunati toccava fare lavori di fatica, mentre tanti altri finivano sulle tavole dei nobili che stavano ingrassando come dei porcelli da latte. Fu in questo periodo che un giovane conte un po' eccentrico di nome Mede de Sivrac trovò il tempo di costruire un messo di locomosione elementare che chiamò Celerifero; la leggenda vuole che il primo modello fosse fatto a forma di cavallo. Si trattava in pratica di una struttura rigida in legno molto rude, composta di assicelle che collegavano due ruote, anch'esse di legno, libere di ruotare attorno a due perni. Montando a cavalcioni del Celerifero si imprimeva il movimento con la spinta dei piedi a terra.
“E bravo il nostro conte” - esclamò divertito Luigi XVI - “ma che bella stronsata che hai fatto: mi tocca spingere con i piedi e poi la diresione consentita è solo dritto, non ci hai fatto lo sterso!”. Fu così che il Celerifero non ebbe fortuna, e divenne un lussuoso giocattolo per benestanti parigini.
Ma Parigi in quei giorni era una polveriera, la nobiltà aveva talmente stracciato le balle al popolo che da tutte le parti della Francia accorrevano contadini armati di forconi e maiali imbottiti di esplosivo. In un primo momento le riunioni dei rivolusionari furono segrete, ma con l'andare avanti sempre più gente abbracciò la loro causa e tutto fu fatto alla luce del sole.
I nobili ogni giorno passavano sempre più tempo sul water perché, se in un primo momento avvertivano soltanto qualche dolore intestinale dovuto alla paura, ora se la facevano letteralmente addosso; in cuor loro sapevano che da lì a poco sarebbe successo un pandemonio. Ed avevano ragione: la scintilla fu data dal ritrovamento di una bottiglia di vino vuota nella discarica del Re, ed una volta avviata nessuno fu più in grado di arrestare la reasione a catena. I cittadini si riversarono per le strade peggio di una mandria di tori a Pamplona, mettendo a fil di spada tutti gli aristocratici che trovavano sul loro cammino. Tra loro si fece strada un certo Guillottine, padre della ghigliottina, che presentò al popolo la sua creasione. Questo macchinario di morte fu accolto dalla popolasione come una giustisia divina, e caddero talmente tante teste che riempirono la Loira. L'ordine era stato ristabilito e finalmente per festeggiare il popolo prese una sbronsa che durò svariati anni. Quando riuscirono finalmente a scuoterla di dosso fecero la torre Eiffel.

I TEMPI MODERNI
Da qui l'evolusione della bicicletta prende una velocità folle, tant'è vero che nel giro di pochi anni vengono apportate modifiche sostansiali che la portano a diventare quella che oggi conosciamo.
Un ufficiale dell'esercito prussiano, Christian Drais Von Sauerbrohn, costruì un apparecchio di legno composto da un telaio e due ruote disposte in linea di uguale grandessa, ed ebbe anche il capire di fare la ruota anteriore indipendente dalla struttura portante. La nuova macchina, ribattessata draisina, consentì finalmente di stersare. E che casso, ci voleva tanto?
Poi arrivò il francese Ernest Michaux che montò i primi pedali, ma anche qui i problemi non mancarono: il rapporto della pedalata era 1:1, il che vuol dire che ad ogni giro di pedaliera corrispondeva un giro della ruota. Questo rapporto non era particolarmente vantaggioso perché si faceva una fatica da bestia, ed il francese venne deriso pubblicamente e bollato come ubriacone e pedofilo. Nonostante questo era nata la prima bicicletta moderna con grande sollievo della popolasione equina e bovina mondiale, che da secoli era costretta a portare in sella gli esseri umani.
Nasce anche la prima figura del postino in bicicletta, molto probabilmente il primo Balordo della storia. Vi siete mai chiesti perché le poste hanno come simbolo una tromba? Il motivo è che ai tempi non esisteva elettricità, per cui nemmeno i campanelli dei citofoni, perciò il postino non aveva la possibilità di avvertire che c'era da firmare una raccomandata. Niente paura, si soffiava dentro alla tromba, e i destinatari spuntavano dalle finestre meravigliati dal fatto che il postino non cavalcava un cavallo come al solito ma una cosa mai vista prima. Ad ogni lettera consegnata gli veniva offerto un boccale di vino, per cui intorno a messogiorno la consegna della posta diventava assolutamente casuale ed arbitraria.
Ma il terreno era fertile, stava per nascere quella che potremmo chiamare la “Balorda herectus”. Il 6 marso dell'anno 1869 si tenne a Londra il primo raduno internasionale di appassionati di ciclismo, che il famoso pittore Toulouse – Lautrec immortalò in una serie di quadri particolarmente brutti.
Poi a partire dal 1903 presero il via la prima grande gara ciclistica su strada, il Tùr de Fràns e, in Italia, la Milano – Torino. Seguirono il Giro di Lombardia, quello del Piemonte, la Milano – Sanremo e finalmente, nel 1909 il primo Giro d'Italia.
La Prima Guerra Mondiale la saltiamo perché non l'ha mai studiata nessuno... sappiamo soltanto che abbiamo vinto noi e questo ci basta.
Anche la Seconda Guerra Mondiale, il cui triste ricordo è ancora vivissimo nella generasione dei nostri nonni e dei nostri genitori, ha un risvolto enologico. Dalle nostre parti dove tanto si è combattuto, si racconta di una leggendaria sfida tra un ufficiale del Terso Reich in servisio al Campo di Concentramento di Fossoli ed un contadino che abitava in Via Grilli. Il tedesco, straordinario bevitore di birra, era convinto che gli sarebbe bastata un mess'oretta per avere ragione del villico autoctono, ma non aveva però fatto i conti con il fatto che il Lambrusco a volte sa essere un vino infimo e beffardo, soprattutto quando è fresco e va giù che è un piacere.
Alè, i due contendenti si misero seduti ad un tavolaccio uno di fronte all'altro e via un bicchiere dopo l'altro sotto gli sguardi divertiti delle truppe nasiste che già pregustavano il sapore della vittoria. Erano abituati a vincere sempre quei mangia crauti a tradimento.
Alla quarta bottiglia però il teutonico dava già segni di squilibrio provandosi a parlare nel nostro dialetto, ma fu dopo avere stappato la sesta che rovinò copiosamente a terra tra lo sguardo sbigottito della sua guarnigione. Fu una storia a lieto fine: vinse il Fossolese ed ebbe salva la vita.
Durante il ventennio fascista la bicicletta ebbe una importansa primaria tra le forse della resistensa, in particolare tra le staffette che avevano il compito di portare i messaggi da una postasione partigiana all'altra.
Anche il nostro Mussolini volle entrare nella storia della ciclo, dotando gli Alpini di biciclette pesantissime in ghisa sferoidale, e con le ruote di gomma piena sensa camera d'aria. Gli Alpini però, abituati a scarpinare a piedi con l'aiuto di qualche somaro, non seppero cosa farsene e le accatastarono nel solaio delle baite.
La bicicletta tuttavia è stato l'unico messo di locomosione ad uso e consumo delle famiglie italiane per tutto il tempo delle due guerre fino alla metà degli anni sessanta. Le prime auto erano ben al di fuori della portata dei nostri portafogli, e la rete stradale era per lo più lastricata di sassi e per la maggior parte costituita da terra ben compressa. Essa perciò diventa uno dei beni più importanti in assoluto perché in bicicletta ci si faceva tutto: ci si spostava, si andava al lavoro, si faceva amicisia con altre persone, e con un po' di fantasia ci si faceva anche all'amore. I beniamini di tutti a quei tempi erano la coppia inossidabile Coppi e Bartali che non hanno certo bisogno di presentasioni, e soprattutto tra i più giovani essa diventò un oggetto insostituibile.
Da allora uomo-vino-bicicletta non si staccano più, formando una macromolecola inedita nella storia dell'evolusione, e neppure Dàrvin riesce a spiegarlo con ragionamenti scientifici: per forsa, non c'è niente di scientifico nell'andare in bicicletta fermandosi ad ogni bar, ma per l'ufficialissasione di questa teoria dobbiamo aspettare un bel po' di tempo, fino al 1994 quando nasce la Balorda.
Il resto è nascosto tra le pieghe della storia che è giunta fino a noi, ma se solo ci pensate un attimo emerge un fatto sconcertante: spesso i grandi uomini passati alla storia sono anche grandi sbevassoni. Nerone è perennemente ubriaco perché dice che crede in Bacco; Sofocle si trasferisce a Crotone dal suo amico Pitagora perché il Cirò è molto meglio del vino greco; Baudelaire non se lo versa certo sui piedi; a Versailles il Re di Francia esige tasse salatissime in uva dai contadini di tutta Francia; Paganini, Brahms e Rossini escono a bere insieme e dilapidano delle fortune in osteria, e molto più recentemente il signor Boris Eltsin ha dimostrato al mondo intero come si possa guidare una potensa mondiale in preda ai fumi dell'alcool.

Il resto della storia la sapete già Balordi, ne fate parte anche voi.



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